Pronti a vivere per la fede (update)

Vittorio Messori è uno scrittore cattolico che apprezzo e amo leggere. Ho letto molti suoi libri che mi sono piaciuti e lo seguo su Internet.

Tuttavia mi sono cadute un po' le braccia quando ho letto sul suo sito: "sono pronto a morire per la fede".

Come ho messo in evidenza in un precedente post, in merito all' Inno Nazionale italiano, Dio vuole che l'uomo non muoia, ma abbia la vita eterna e per questo fine ci ha dato, per amore, il suo unico Figlio: Gesù.

Bisognerebbe chiedere a Vittorio Messori cosa intende con: "morire per fede". Se intende mortificare se stesso, morire dentro per fare morire l'"uomo vecchio" dentro di noi, lo posso comprendere e apprezzare, ma se intende "morire" nel senso di finire in una tomba, non lo comprendo.

Lui dice: "Oggi non esiterei a farmi uccidere piuttosto che rinnegare la fede."

Secondo la mia sensibilità spirituale, l'affermazione di Vittorio Messori, in questo caso, detta così, è pericolosa e psicologicamente deleteria perché fa leva sulla morte come strumento psicologico per testimoniare la propria fede.

Wikipedia definisce fanatismo religioso come: "Il fanatismo religioso, nell'ambito dell'adesione ad un particolare credo o sistema di credenze, è l'atteggiamento di chi vi si riconosce e si identifica in maniera particolarmente esasperata, in modo da giungere «ad eccessi e alla più rigida intolleranza nei confronti di chi sostenga idee diverse». Non necessariamente tali eccessi sono espressi mediante atti fisici violenti.

L'etimologia della parola fanatismo - usata sempre in accezione negativa - porta al latino «fanaticum, "ispirato da una divinità, invasato da estro divino", derivato di fanum "tempio", vc. da avvicinare a fas "diritto sacro"». Dall'etimologia appare evidente che caratteristica del fanatismo è una vena di follia, accompagnata o addirittura causata però da una credenza autentica e sincera, perché la credenza o meglio fede in una divinità che sia ispirata anzi instillata dalla divinità stessa non può per sua natura essere ritenuta falsa dal credente."

Nel caso in cui si arrivi a sostenere di essere pronti a morire e di non esitare a farsi uccidere piuttosto che rinnegare la fede, l'intolleranza viene rivolta verso se stessi, come resistenza esasperata di tipo passivo nei confronti di chi sostiene idee diverse, nel caso si debba rinnegare la propria fede o il proprio credo.

Il dizionario De Mauro definisce fanatismo come: "fede incondizionata, spec. collettiva, che induce a un atteggiamento radicale e intollerante verso chi non la professa"

Wikipedia definisce fondamentalismo come: "Per fondamentalismo si intende genericamente qualunque interpretazione letterale dogmatica di testi sacri (o loro equivalenti, fuori dell'ambito religioso) che assuma i relativi precetti a fondamenti (tipicamente della religione, ma non solo) rifiutando ogni ideologia in contrasto con essi".

Da non confondere con integralismo religioso che viene definito da Wikipedia come: "L'integralismo religioso (o integrismo religioso[1]) è un tipo di integralismo che, facendo riferimento a una religione e in particolare ai suoi testi sacri e dogmi, mira ad applicarne «compiutamente i principî [...] nella vita politica, economica e sociale» della collettività. A questo scopo si tende a eliminare il pluralismo filosofico, ideologico e d'azione, rigettando le idee differenti. Per raggiungere tale obiettivo, gli integralisti sottomettono la politica e le leggi dello stato ai precetti della religione, operazione che portata alle sue estreme conseguenze si traduce nell'instaurazione di una teocrazia."

In uno studio sulla psicologia del kamikaze, del V congresso nazionale di psichiatria forense, si dice che Il suicida kamikaze è plagiato da una figura carismatica (per esempio il Vecchio della montagna): viene convinto che l'obbedienza agli ordini è un valore superiore alla vita stessa.

Da non confondere con la psicologia del martire, di colui che sceglie di fare un sacrificio o di rinunciare a qualcosa non perché lo vuole lui, ma per amore di qualcun altro, per il bene di un'altra persona.

Ma quando un uomo dice di essere pronto a morire per la fede, vuol dire che è disposto a rinunciare al bene della vita per il bene di chi? Della fede? Non ha senso secondo me. La fede è una questione personale, ma anche collettiva. C'è chi ce l'ha e c'è chi non ce l'ha. Se hai fede, vivi secondo i precetti della tua fede.

Quindi, essere pronti a morire per la fede, dal mio punto di vista, è un atto esclusivamente egoistico di una persona o di una collettività, perché significa essere pronti a rinunciare al bene supremo della vita, non per il bene di un'altra persona o di un'altra collettività, ma per il bene di se stessi e della propria collettività, per difendere una virtù teologale (secondo la definizione cattolica di fede), cioè per difendere Dio che non ha bisogno di essere difeso (vedi le 12 legioni di angeli), perché onnipotente.

La fede è una delle tre virtù teologali. Arriva da Dio, da quel Dio che ha sacrificato suo Figlio non per fede, ma per amore verso il mondo, per noi, per darci la vita eterna.

Non voglio dire che Vittorio Messori sia un terrorista kamikaze, ma semplicemente segnalare l'inghippo psicologico che sta alla base di molti fondamentalismi e scontri religiosi, alcuni dei quali sfociano nella violenza e nella guerra, esaltando la morte e disprezzando la vita con la scusa della fede.

La vita è più importante della fede e va preservata, difesa, perché non ci può essere carità e amore, se prima non c'è vita.

Siccome Gesù vuole l'unità dei cristiani affinché il mondo creda, il cristiano dovrebbe essere pronto a rinunciare alla propria fede (non alla vita) per amore e carità di chi non crede o di chi ha una fede diversa o è più debole nella fede.

Io non sono pronto a morire per la fede e non ho nessuna intenzione di sacrificarmi per la fede, proprio perché credo in Gesù e nel suo sacrificio. Lui è morto per darci la vita eterna (che non vuol dire vivere in eterno in questo mondo). La sua morte ha un significato e un valore importante per farci comprendere il valore e l'importanza della nostra vita e della vita altrui che dobbiamo amare .

Io preferirei dire che sono pronto a vivere per la fede, per testimoniare la fede affinché il mondo creda. La morte va sempre ripudiata, altrimenti si vanifica il sacrificio di Gesù morto per la nostra salvezza e si promuovono gli istinti suicidi. Invece è la croce che il cristiano deve imparare a portare e ad accogliere, non la morte, perché è la croce che ci apre la strada verso la vita.

Non confondiamo la morte con la croce che sono due cose diverse. La croce rappresenta la sofferenza e la morte di Gesù oltre la quale c'è la risurrezione e la vita eterna alla quale siamo chiamati seguendo il Suo insegnamento, mentre la morte è la la negazione della vita, oltre la quale c'è solo il giudizio della Parola di Dio.